Cultura dei nativi americani
martedì, 28 novembre '23
Le Grandi Pianure:cercando nuovi orizzonti
Pubblicata sabato, 22 maggio '04
Un tempo Lebanon, nel Kansas, amava fregiarsi del titolo di centro geografico degli Stati Uniti ma ormai la gente di qui non ha più molta voglia di vantarsene. Da alcuni anni questo villaggio di circa 300 abitanti, appollaiato tra campi di grano e di sorgo nei pressi del confine con il Nebraska, si distingue per una caratteristica molto meno prestigiosa: come tanti piccoli centri agricoli ai margini di una delle regioni cerealicole più ricche del mondo, sta scomparendo…Subito fuori città un cartello con la scritta “Benvenuti nel centro degli USA” segnala quello che fino ad ieri era l’orgoglio locale: un monumento di pietra con una targa di bronzo che riporta l’esatta latitudine e longitudine del punto centrale. La bandiera del Kansas e quella a stelle e strisce sventolano l’una a fianco dell’altra, mosse da un venticello fresco che porta con sé il profumo della terra generosa.
Non tutte le Grandi Pianure stanno subendo la sorte di Lebanon ma certo il caso non è isolato. La regione sta vivendo uno shock culturale che ha un solo precedente: la grande depressione degli anni Trenta, quando siccità e vento devastarono le campagne, e costrinsero migliaia di contadini ad emigrare. Le Pianure si ripresero da quella crisi. Contribuirono a nutrire il Paese e il mondo intero con i loro prodotti, e ancora oggi esportano enormi quantità di grano e di carne bovina. Ma la tecnologia sostituisce l’uomo, i posti di lavoro si allontanano dalle campagne e oggi ranch e fattorie si ritrovano ad esportare un’altra “merce” verso la città: i loro figli. In alcune cittadine ormai l’età media degli abitanti si avvicina alla sessantina..
Le Grandi Pianure sono una terra sconosciuta persino a molti americani. Dai primi esploratori, che chiamarono questa regione “Grande deserto americano”, ai pionieri che marciavano sulle piste verso la California e l’Oregon, tutti le hanno sempre considerate come una zona da attraversare in tutta fretta per arrivare in qualche altro posto. Oggi, ai passeggeri dei voli transcontinentali, gli assistenti di volo chiedono di tirare la tendina sul finestrino: quelle dorate distese di grano potrebbero disturbare la visione del film. Oltre a non vederle mai, gli americani che vivono sulle coste spesso non sanno nemmeno dove le Grandi Pianure si trovino di preciso. Ecco allora il quadro d’insieme: un’area di un milione e 300 mila chilometri quadrati, quasi un sesto degli USA continentali, che attraversa 10 Stati, dalla frontiera con il Canada fino al Texas meridionale. Il confine occidentale è segnato dalle pendici delle Montagne Rocciose, mentre su quell’orientale i pareri sono discordanti: nel 1931 lo storico Walter Prescott Webb lo tracciò al 98° meridiano, qualche anno più tardi la Commissione per le Grandi Pianure creata dal presidente Franklin Roosvelt lo spostò al 100°, circa 150 chilometri più ad ovest.
Nelle Pianure le città non sono molte. In tutta l’enorme distesa ad ovest della “linea di Webb”, i comuni con più di 50 mila abitanti si contano sulle dita di una mano. Seneca, nella regione delle Sand Hills, nel Nebraska, non è tra queste. Qui la bellezza del panorama, cieli limpidi e orizzonti sterminati, non ha impedito che le colline si spopolassero, e che gli abitanti rimasti precipitassero in profondi abissi di povertà.
L’allevamento del bestiame ha un ruolo importante nell’economia delle Grandi Pianure, soprattutto nelle regioni più occidentali, ma il collante che tiene assieme la regione è senza dubbio l’agricoltura. Granoturco, grano, soja, sorgo sono le colture principali, affiancate, in alcune zone, da erba medica, orzo e barbabietola da zucchero. A differenza dell’erba che un tempo cresceva sulle praterie, sono tutte piante annuali, seminate e raccolte da grosse macchine che ingurgitano carburante, trattate con pesticidi, pompate a forza di concimi chimici, e troppo spesso irrigate, ad altissimi costi, usando falde freatiche sempre più scarse, per sostituire l’acqua che non cade dal cielo. Il tempo atmosferico, l’eterno problema dei contadini di qui.
All’alba del nuovo millennio, il tempo non è stato clemente con le Grandi Pianure: la siccità ha colpito l’intera regione, dal Montana e dai due Dakota fino al Texas e al New Mexico orientale. Nelle High Plains, una regione del Colorado, la terra si è trasformata in polvere, facilmente trasportata dal vento. In alcune zone la pioggia è arrivata solo dopo mesi, troppo tardi per rimediare ai danni. I giornali hanno scritto che il 2002 è stato l’anno più arido dall’epoca del “Dust Bowl”, negli anni Trenta, quando le pianure si trasformarono in un’enorme “ciotola di polvere”. E in alcune zone settentrionali, la siccità è stata la più grave degli ultimi cent’anni. Così pompe, mulini e impianti d’irrigazione hanno succhiato ancora più acqua dal sottosuolo, e la grande falda freatica di Ogallala è scesa ad un livello vicino all’esaurimento.
La gente delle Pianure ha un forte legame con il suo passato. Non è tanto, a ben vedere, un interesse per la storia, che, anzi, viene ignorata o “censurata” nei suoi passaggi più oscuri; quanto una passione collettiva per le tradizioni: rodei, fiere, celebrazioni in costume. Chiamiamola nostalgia del buon tempo andato, o di un tempo che forse non è mai stato così meraviglioso come la gente di qui ama immaginarlo.
Eccoci a Sturgis, nel South Dakota, tutta imbandierata a festa per una celebrazione annuale chiamata “Cavalry Days”, “i Giorni della Cavalleria”. Ecco, sui prati attorno a Fort Meade, i rievocatori in costume, chi in divisa blu del Settimo Cavalleggeri, chi in tenuta da Sioux, con pelle di daino e copricapo di piume: ecco i tepee e le tende militari, la sagoma cartonata del generale Custer che servirà da bersaglio per le frecce, i palloni multicolori sparsi sul terreno in modo da scoppiare sotto gli zoccoli dei cavalli al galoppo, simulando il rumore degli spari dei cavalieri armati di revolver calibro 45. Walter Perscott Webb scrisse che la colt 45 fu “l’arma che conquistò il West” mentre altri attribuivano il merito al fucile Winchester. Ma forse una terza arma fu ancora più decisiva: il fucile Sharps, che in pochi anni sterminò una popolazione di bisonti che aveva fornito cibo, abiti, e tende a generazioni d’Indiani delle Pianure. Già negli anni Quaranta dell’Ottocento, era esplosa la moda delle pelli di bisonte; ma dopo il 1870, quando la ferrovia raggiunse le Pianure, e i conciatori europei e della costa est inventarono un sistema per trasformare le pelli in cuoio industriale, il massacro arrivò al culmine, lasciando pochissimi, preziosi superstiti. Parlando all’assemblea legislativa del Texas nel 1875, il generale Phil Sheridan disse che i cacciatori di bisonti stavano contribuendo “alla soluzione della spinosa questione indiana più di tutto l’esercito regolare…per raggiungere una pace durevole, lasciate che essi uccidano, scuoino e vendano le pelli, finché i bufali non saranno sterminati. Allora le vostre praterie potranno ricoprirsi di bestiame e dei festosi cowboy, che seguono i cacciatori nell’annunciare l’arrivo di una civiltà evoluta”. Il desiderio di Sheridan si avverò. Presto anche le ossa di bisonte, raccolte e spedite ad est, sarebbero state macinate per ricavarne fertilizzanti ricchi di fosfati. Nel 1900 restavano in vita solo un migliaio di bisonti, e gli Indiani erano ormai relegati nelle loro aride riserve: i festosi texani potevano riversarsi verso nord portando con sé milioni di capi di bestiame. E nulla più poteva fermare i coloni assegnatari delle terre federali, ora che avevano filo spinato per tenere lontane le vacche e aratri d’acciaio per dissodare il suolo. Inoltre, le compagnie ferroviarie, che avevano interesse a popolare le pianure per ricavare profitto dal trasporto delle merci, pubblicizzavamo una sorta di paradiso terrestre: le Grandi Pianure erano un immenso giardino che non aspettava che di essere coltivato.
In pochi anni, grazie anche a precipitazioni ben superiori alla norma, la superficie coltivata a grano raddoppiò. Poi, sotto cieli impietosamente azzurri, le piogge cominciarono a scendere sotto i 300 millimetri annui e così, al posto dei raccolti, arrivò la polvere. La prima grande tempesta si scatenò nelle Pianure settentrionali nel maggio 1934, e sparse su Chicago 12 milioni di tonnellate di terra del Wyyoming e del Montana. I sopravvissuti al “Dusty Bowl” non corrispondono affatto al diffuso stereotipo degli Okies, i contadini ignoranti dell’Oklahoma ritratti in Furore di John Steinbeck, che si scossero via la polvere ed emigrarono in California. Molti, invece, restarono“Per vivere qui bisogna essere gente di un certo tipo” dice Phyllis Randolph, direttrice del museo della contea “testardi e bastian contrari. È una cosa che viene dalla terra”.
Secondo il censimento del 2000, metà delle contee delle Grandi Pianure hanno perso abitanti. Nessuna sorpresa: l’emorragia va avanti da decenni. Quello che sorprende è lo sproporzionato aumento della popolazione che si è verificato nelle contee che ospitano riserve indiane. Non è solo merito dei tassi di natalità più alti, del sistema sanitario migliore, delle opportunità di lavoro nei casinò e dei sussidi federali per le abitazioni. Migliaia di nativi (Blackfeet, Crow, Flathead, Northern Cheyenne, Sioux), dopo aver vissuto per anni in città, stanno tornando nelle riserve dove sono nati. “Molti di loro sono pensionati” dice Fred Du Bray, un Sioux che dirige una cooperativa intertribale vicino alle Black Hills “Vogliono stare qui, perché il loro cuore è qui”.
La meta della più imponente migrazione è la riserva indiana di Pine Ridge, nel South Dakota, terra degli Oglala Lakota, che era già la più popolosa tra le molte riserve sparse sul territorio delle Grandi Pianure. La Shannon County, dove vive la maggior parte degli Oglala Lakota, ha visto aumentare la sua popolazione del 26 per cento tra il 1990 e il 2000.
Ivan Sorbel è uno dei Sioux tornati “a casa” dopo quattro anni d’università e sei di servizio nel Corpo dei Marines. Lavora alla Camera di Commercio di Pine Ridge, per promuovere iniziative imprenditoriali che possono costituire un’alternativa all’assistenza pubblica per gli abitanti della riserva. “Stiamo provando a smettere di vivere sulla nostra povertà” dice con una battuta. Ma non sarà facile. Nella riserva la disoccupazione oscilla ancora tra il 60 e l’80 per cento, con tutti i problemi connessi, dall’abuso d’alcol e droghe alla bassa aspettativa di vita.
Sorbel punta a sfruttare la vicinanza a mete turistiche come le Black Hills e il parco nazionale delle Badlands. Già adesso i Lakota promuovono un tipo di turismo legato alla realtà viva della cultura tribale. Vale a dire: niente rievocazioni in costume.
Non è la prima volta che si parla del turismo come di una panacea per l’economia della riserva e dell’intera regione; come se gli inverni gelidi, le estati infuocate, il vento onnipresente e la scarsità di servizi per chi viaggia fossero inconvenienti da poco. Tuttavia, nonostante la bellezza dei grandi spazi aperti, sembra improbabile che le Pianure possano vivere di turismo. Le industrie, a parte qualche azienda alimentare, non sono mai state molto propense a stabilirsi nelle pianure. Qualche posto di lavoro in più potrebbe essere creato nel settore energetico. Per il resto, le prospettive non sono incoraggianti, a meno che, grazie alla tecnologie innovative, non si trovi qualche impiego all’avanguardia per l’immensa produzione agricola della regione. Nei dintorni di Omaha, ad esempio, uno stabilimento high-tech ricava dal granoturco fibre sintetiche usate per diversi prodotti, dai pannolini alle imbottiture. Ma Omaha non è nelle Grandi Pianure e non si sta spopolando.
In un tempo che sembra ormai lontanissimo, tra gli anni Ottanta e i Novanta, agli albori dell’era dell’informazione, qualche demografo predisse un ritorno di massa alla vita rurale. Manager e professionisti, stufi della vita in città e non più costretti ad andare in ufficio si sarebbero trasferiti, computer e fax al seguito, in tranquilli ed economici paesini sperduti nelle campagne. Grazie al "telelavoro", villaggi come Lebanon, nel Kansas, o Seneca, nel Nebraska, sarebbero nati a nuova vita. Un quadro idilliaco. Solo che non è successo nulla di tutto ciò. “L’uomo è un animale sociale” spiega Jim Hoy, ex allevatore e ora docente universitario e direttore del centro studi sulle Grandi Pianure dell’Emporia State University ”Al lavoro o nel tempo libero, la gente ama stare con altra gente” aggiunge ”Non è molto divertente fare la pausa caffé se non c’è nesssuno con cui chiacchierare”.
Il Congresso degli Stati Uniti sta valutando una proposta di legge che concederebbe grossi incentivi alle imprese disposte a stabilirsi in contee ad alto tasso di spopolamento. Ma, sul lungo periodo, non basterà certo una legge a risollevare dalla depressione le comunità rurali della regione. Anche se l’emigrazione si fermasse, bisognerebbe pensare anche alla salute dei campi e dei pascoli perché la terra non può essere sfruttata all’infinito. Già 25 anni fa lo storico Donald Worster ammoniva di non dimenticare la lezione del “Dusty Bowl”, la grande siccità degli anni Trenta “Non si può chiedere alle Grandi Pianure di produrre sempre di più per saziare la crescente fame nel mondo…o finiranno col trasformarsi in un deserto sterile”. Nel tentativo di evitare i vecchi errori, alcuni agricoltori americani hanno adottato pratiche più sostenibili, come la rotazione delle colture e la coltura conservativa. Altri lasciano a prateria una parte della loro proprietà, ricevendone in cambio un sussidio. La prateria sta tornando in voga…
E con le praterie, viene da chiedersi, torneranno anche i bisonti? Nel 1894 il parco nazionale di Yellowstone accolse una piccola mandria di bisonti per proteggerla; da allora, questi grossi e irsuti ruminanti si sono diffusi e moltiplicati sul territorio, fino a raggiungere circa 250 mila unità in tutto il paese. Oggi un consorzio di Nativi Americani gestisce alcune mandrie nel Dakota e nel Montana, per un totale di 12 mila capi. Ted Turner, il fondatore della CNN, alleva 37 mila bisonti in 13 dei suoi ranch, che si trovano in sei stati delle Grandi Pianure e occupano un totale di 7300 chilometri quadrati.
Turner ha lanciato una catena di ristoranti, i “Ted’s Montana Grill”, nel tentativo di rendere popolare la carne di bisonte che ha una bassa percentuale dei grassi.
Pensate a migliaia di bisonti che scorrazzano liberamente per milioni di ettari di prateria.
Cosa vi viene in mente oltre agli hamburger? Semplicemente l’immagine di ciò che un tempo erano le Grandi Pianure e di ciò che potrebbe tornare ad essere. Era l’idea guida del “Buffalo Commons”, un’iniziativa lanciata nel 1987 dall’urbanista Frank Popper e da sua moglie Deborah, geografa, per ripristinare le antiche praterie. I termini del progetto erano volutamente ambigui e in questo modo si cominciò a pensare e a parlare del rinnovamento ecologico ed economico delle Grandi Pianure. Per i Popper si trattava soprattutto di convincere i coltivatori a sfruttare la terra in maniera meno incentiva; ma il progetto prevedeva che il governo acquistasse “sempre più terre” dai privati. Alcuni coltivatori e allevatori pensarono che lo scopo di tutta l’iniziativa fosse cacciarli via dalle loro proprietà e trasformare tutta la regione in un gigantesco parco nazionale. Gli animi si scaldarono e, almeno in un’occasione, una pubblica apparizione dei Popper in un villaggio delle Pianure fu annullata per motivi di sicurezza,
Il tempo ha raffreddato certe intemperanze. Nella parte settentrionale delle Pianure, le banche concedono prestiti agevolati agli allevatori che vogliono sostituire le vacche con i bisonti. Alcune organizzazioni ambientaliste, come la Nature Conservancy, stanno comprando ranch e fattorie per gestirle come riserve naturali, anche se non le riempiono di bisonti allo stato brado. Il progetto “Buffalo Commons”, in un modo o l’altro, sta prendendo piede.
Articolo di John G. Mitchell
Foto di Jim Richardson