Pubblicata lunedì, 5 luglio '04
L'Apache era di aspetto attraente: testa ben fatta, collo perfetto, zigomi alti, naso proporzionato, occhi neri e vivaci, mandibole forti, labbra né sottili né tumide.
Aveva i capelli lunghi e neri che gli scendevano lungo le spalle.
La poca barba veniva tolta con delle pinzette di stagno.
Snello, agile e muscoloso, l'Apache possedeva una resistenza straordinaria.
Ben conformato, aveva la schiena robusta, il petto ampio e la vita sottile.
Raramente superava, in altezza, il metro e ottanta.
Il dottor John B. White, nel 1873, esaminò un centinaio di Apache dell'Arizona, uomini e donne.
«Gli Indiani sono stati scelti casualmente e, mediamente, gli uomini avevano una statura di un metro e 68 centimetri, le donne di un metro e mezzo.
Gli uomini più alti misuravano un metro e 80 centimetri e le donne un metro e 55 centimetri.
L'uomo più basso era di un metro e 55 centimetri, la donna, invece, di un metro e 39 centimetri».
Gli studiosi dell'epoca scrivevano, spesso, della notevole intelligenza degli Apache.
Disponevano di un istinto e di un'astuzia quasi animale.
Dotati di grande perspicacia e capacità riuscivano a superare le difficoltà del clima e della natura del territorio in cui vivevano.
Erano abili nel prevedere le azioni del nemico e nel coordinare le proprie, pur operando in piccoli gruppi su una vasta regione.
Spiritosi, intelligenti, allegri, non si lasciavano travolgere dalle difficoltà della vita.
Sempre pronti ad agire, nulla poteva coglierli di sorpresa.
È stato un errore credere che gli Apache fossero privi di principi morali.
Le loro regole di vita erano fermamente osservate.
Ovviamente il loro modo di intendere la vita era profondamente diverso da quello dei Bianchi.
Un Apache era degno di rispetto se primeggiava nelle battaglie e nelle scorrerie.
La donna apache veniva considerata esemplare per le fatiche che sopportava e per la fedeltà.
Per gli Apache tutti gli altri popoli rappresentavano il nemico.
L'unica ambizione di un ragazzo apache era di diventare un grande guerriero, un abile predone e di catturare molti scalpi di nemici.
Un fatto d'armi, fine a se stesso, non aveva molta rilevanza.
Anzi, veniva considerato una sciocchezza.
Ma il sorprendere e annientare l'avversario con l'astuzia era un atto degno di lode.
L'Apache più corteggiato era quello che possedeva il maggior numero di cavalli e di bestiame razziati e che poteva offrire alla giovane apache l'oggetto più bello sottratto al nemico.
Il modello da seguire era lui anche se l'ammirazione veniva riservata ai guerrieri e ai capi che, per la loro superiorità nelle battaglie e nelle trattative, sapevano come proteggere e condurre l'intera tribù nei momenti difficili.
Oltre all'abilità nel compiere una scorreria, un capo doveva possedere altre doti: l'intelligenza, la capacità strategica e una volontà ferrea.
Cochise, Victorio e Mangas Coloradas incarnavano queste prerogative.
La pietà era un sentimento sconosciuto agli Apache e la crudeltà era una loro caratteristica.
Si deve però ammettere che gli Apache non commisero mai le atrocità che invece subirono dai loro nemici cristiani.
L'Apache era coerente al suo credo di crudeltà e di avidità; l'Uomo Bianco, invece, ostentava con ipocrisia la misericordia e l'onestà per poi superare gli stessi Apache in azioni indegne e spietate.
L'Apache aveva un comportamento totalmente diverso con la sua gente.
Manteneva immutato il suo atteggiamento nell'adempimento dei propri doveri nei confronti della famiglia, del suo clan o gruppo.
Tradire i modelli comportamentali del suo popolo gli procurava dolori e sanzioni severe quanto quelle che reggono una società civile.
L'Apache osservava il codice sociale più di qualsiasi Uomo Bianco.
Considerava una virtù il dire sempre la verità, non derubava mai i membri della sua tribù e non mancava di pagare i propri debiti.
Era generoso e divideva con i compagni ciò che possedeva.
I genitori amavano teneramente i loro bambini e avevano cura anche per gli altri componenti della famiglia.
Anche a costo della propria incolumità e del proprio benessere esigevano soddisfazione per i torti fatti ad amici e parenti.
Il lavoro e le spese richiesti per le cerimonie del matrimonio o di sepoltura dei morti erano divisi tra le famiglie.
Le donne erano fedeli e pazienti nell'espletare i compiti domestici.
L'Apache primitivo indossava solamente il breechclout, una specie di brache corte, mocassini e, nelle scorrerie o in battaglia, un copricapo ornato con piume.
Originariamente il breechclout era confezionato con pelle di daino conciata; successivamente fu sostituita da una striscia di mussola, lunga circa 180 centimetri, che veniva passata tra le gambe e attorno ai fianchi e sistemata in modo da permettere che le estremità ricadessero, coprendo le cosce sino al ginocchio.
I mocassini erano di pelle di daino, particolarmente adatti a proteggere i piedi e le gambe dai serpenti velenosi e dalle spine delle piante.
Raggiungevano il polpaccio e avevano suole resistenti che si curvavano verso l'alto sull'alluce, terminando in una sorta di bottone con le dimensioni di un mezzo dollaro.
La parte superiore veniva rimboccata e i risvolti diventavano piccole tasche dove si mettevano gli oggetti piccoli.
Dopo l'arrivo degli statunitensi, i guerrieri apache usavano, quasi sempre, una striscia di flanella o di cotone legata stretta sulla testa per tenere in ordine i capelli.
Le donne indossavano gonne di pelle di daino, con frange, che coprivano il ginocchio.
I mocassini delle donne erano diversi da quelli dei guerrieri: non così alti e neppure tanto resistenti.
Arrivavano poco sopra le caviglie.
L'abitazione degli Apache era una piccola capanna circolare oppure ovale, chiamata wickiup.
Veniva costruita dalle donne con rami intrecciati e frasche.
Pali lunghi e sottili erano conficcati nel terreno a una distanza di 60 centimetri l'uno dall'altro e incurvati verso il centro finché non si toccavano.
Erano legati in alto.
Veniva lasciato un piccolo buco per consentire la fuoriuscita del fumo.
All'interno il terreno veniva scavato per 40-60 centimetri e costituiva la camera da letto.
La terra ammassata intorno alla base del wickiup serviva a dare solidità alla capanna e a offrire protezione durante le tormente.
Quando faceva freddo accendevano un piccolo fuoco nel centro e intorno si sedeva la famiglia.
Se un Apache si trasferiva da un luogo a un altro, e sempre quando moriva un membro della famiglia, il wickiup veniva bruciato.
Le dimensioni di queste capanne erano: tre metri, tre metri e sessanta per due e quaranta, o, al massimo, due metri e settanta.
L'ingresso era basso e talvolta dotato di un piccolo frangivento fatto con pali e cespugli.
Gli Apache non costruivano i loro wickiup distanti l'uno dall'altro ma, di solito, vicini a gruppi di quattro o cinque.
Il cibo era estremamente vario.
Gli Apache mangiavano molta carne, preferivano quella di mulo e di cavallo.
Quasi tutti gli animali, però, venivano apprezzati, dal daino al bufalo ai roditori e alla lucertola.
L'Apache non si cibava con la carne dell'orso, del maiale, del tacchino e del pesce.
Eppure, cacciava il tacchino, il falco e l'aquila, per le loro penne e il visone, il castoro e il topo muschiato per le pelli.
Talvolta, il territorio diventava così arido e povero che era costretto a nutrirsi di radici, bacche, noci e semi.
Ghiande, mescal e fagioli di mesquite erano il cibo base degli Apache.
La polpa del mescal corrispondeva, per loro, al nostro pane.
Disponibile quasi ovunque, veniva raccolta dalle donne e arrostita nelle buche.
Poteva essere immagazzinata e trasportata.
Il baccello di mesquite e la ghianda venivano ridotti in polvere e trasformati in focacce.
I dolci frutti rossi dei grandi cactus pitahaya erano apprezzati.
Nei momenti difficili gli Apache mangiavano i frutti di altri tipi di cactus e la yucca.
Gli esploratori paragonarono il gusto di questi frutti, una volta essiccati, a quelli del fico, del dattero e della banana.
I semi, dopo essere stati macinati su una pietra larga e piatta, venivano trasformati, con l'aggiunta di acqua, in una pasta con la forma di focaccia.
Gli Apache, dopo il pasto principale, che di solito era quello della sera, si sedevano, in cerchio, nell'accampamento per raccontare i fatti del giorno, le scorrerie e le battaglie sostenute.
Si riunivano spesso per festeggiare, danzare e partecipavano ai diversi riti.
Prima e dopo un combattimento, i guerrieri prendevano parte alle danze di guerra, mentre le donne stavano a guardare.
C'erano danze esclusive per i giovani: maschi e femmine e i più anziani vi assistevano, commentando e conversando.
Il nuoto era lo svago preferito.
Ogni Apache, che fosse uomo, donna o bambino, amava il gioco e scommetteva di tutto, dal cavallo alla camicia.
Diversi erano i giochi con la palla; il gioco preferito era quello del Cerchio e del Bastone dal quale venivano escluse le donne.
A loro, invece, era riservato un gioco simile al moderno hockey.
Gli Apache si divertivano anche con gli indovinelli e con gli incontri di lotta, gare di abilità con l'arco e le frecce e nel lancio di pietre in una buca.
Quando i bambini erano abbastanza grandi da poter camminare con le proprie forze, i genitori li lasciavano liberi e raramente venivano sgridati o puniti.
I ragazzi lottavano, correvano, si scagliavano pietre o si esercitavano con l'arco.
Le bambine costruivano piccole abitazioni con i legni e le pietre, modellavano bambole con stracci e pezzetti di pelle di daino o con pianticelle.
Nelle casette simili a quelle reali venivano messe le bambole.
Con il fango modellavano piccoli cavalli, uomini e donne.
Pare che gli Apache non fossero interessati all'arte.
Non è così strano, considerata la loro vita nomade.
Nel disegnare e modellare maschere rituali, abiti da cerimonia e strumenti musicali, mostravano una certa abilità pittorica e decorativa, ma il meglio lo si riscontrava nella costruzione di cesti e di brocche per l'acqua.
Da principio la bellezza venne subordinata alla praticità, in seguito le donne apache raggiunsero una notevole abilità.
Venivano utilizzate due tecniche: l'intreccio per i cesti e l'avvolgimento a spirale per le brocche.
Molti prodotti sono ora conservati in vari musei.
I più belli sono le terrecotte.
È difficile stabilire fino a che punto fosse un'arte originale e caratteristica degli Apache e quanto invece fosse un'acquisizione culturale.
Probabilmente gli Apache furono influenzati dai Pueblo, dai Pima, dagli Indiani della California e dagli Yuma.
Sia sotto il profilo sociale che economico la famiglia era base della tribù.
La casa della madre costituiva il nucleo della famiglia.
Era lei il capo.
Se le figlie erano sposate, i mariti dovevano abitare nell'accampamento della suocera anche se non potevano guardarla o conversare con lei.
Un Apache era vincolato per sempre alla propria famiglia.
Robert Frost scrive in uno dei suoi poemi più belli:
La casa è il luogo in cui, quando ti rechi, devono ospitarti.
Per gli Apache era certamente così.
La famiglia si prendeva cura di ogni suo componente, della sua educazione, della scelta dei partners, divideva le disgrazie e le gioie, sfidava la «malattia dello spirito» nel preparare un defunto alla sepoltura e, in caso di morte violenta e ingiusta, aveva il dovere di vendicarlo.
Quando una ragazza apache raggiungeva l'età della pubertà la famiglia celebrava l'evento con uno o due giorni di festa.
Come segno che la giovane era ormai una donna, le dicevano di correre verso est, dove sorge il sole.
Un mese o due più tardi si organizzava una grande festa.
Questa volta si trattava di una cerimonia che coinvolgeva la comunità.
Durava quattro giorni e venivano invitati parenti e amici, vicini e lontani.
La spesa della cerimonia era a carico dei genitori anche se, a volte, altri componenti della famiglia davano il loro contributo.
Talvolta i genitori cominciavano a risparmiare e predisporre i preparativi molti mesi prima; non era insolito che gruppi imparentati organizzassero un'unica festa per due o tre ragazze.
Quando giungeva il giorno stabilito, gli invitati che venivano da lontano, si accampavano vicino al luogo scelto per la cerimonia.
Lì, su uno spiazzo veniva allestito un wickiup nel quale la giovane donna avrebbe trascorso quattro giorni in una faticosa veglia compiendo danze rituali.
L'Uomo Medicina era colui che doveva organizzare i riti religiosi.
Il capofamiglia doveva occuparsi di offrire cibo e divertimenti alla gente intervenuta.
Dopo che i doni e il cibo erano stati portati nel wickiup, la giovane donna sarebbe apparsa vestita con l'Abito della Pubertà.
Con le assistenti, poi, rientrava nel wickiup.
Fuori nel frattempo si svolgevano le danze mentre all'interno del wickiup, la giovane donna, a volte, rimaneva inginocchiata per ore e, a volte, danzava.
E così avveniva il secondo giorno.
La seconda o terza notte, mascherati con pelli di vari animali, giungevano i danzatori che ballavano intorno al fuoco centrale.
Sul principio i guerrieri e le donne anziane mostravano preoccupazione per la comparsa di queste «belve» ma, non essendo capaci di allontanarle, si univano a loro nella danza a cui avrebbe partecipato anche la giovane donna.
Il culmine di queste cerimonie si verificava la notte del quarto giorno quando tutti avrebbero ballato ininterrottamente.
A1 sorgere del sole il rituale veniva concluso dall'Uomo Medicina.
Il wickiup veniva distrutto e la ragazza correva, veloce, verso est.
M. E. Opler scrive: «È una cerimonia del sole, una preghiera affinché la forza che fa prosperare tutte le piante possa garantire anche a questa giovane apache salute e vigore ».
Per una ragazza apache il wickiup della madre era il fulcro dell'universo.
Madre e figlia erano quasi sempre insieme, sia nei lavori domestici che nella ricerca del cibo.
La ragazza, dopo essere entrata nel mondo degli adulti partecipava con la madre alle danze e ad altri incontri della tribù dove poteva parlare con i giovani guerrieri.
Era lei a scegliere il suo partner per le danze.
Trasgredendo alla severità del codice sociale, i giovani trovavano il modo di dichiararsi il loro amore.
È vero che le famiglie esercitavano una forte influenza su di loro nella scelta del compagno ma, nella maggior parte dei casi, sceglievano liberamente.
Dopo che un giovane guerriero aveva deciso, doveva ottenere il consenso della propria famiglia al matrimonio.
Poi doveva informare i genitori della ragazza delle sue intenzioni.
Il padre o il fratello del giovane si accollavano il compito.
La consuetudine voleva che si offrissero doni alla ragazza e alla sua famiglia.
Poiché i cavalli erano il simbolo della ricchezza, durante la notte, il giovane doveva legare uno, due o più cavalli al wickiup della ragazza.
Il numero dei cavalli indicava lo status del pretendente e il suo ardore.
Se lei si prendeva cura dei cavalli il giovane sapeva che la sua proposta era stata accettata.
Ma se venivano trascurati, allora comprendeva di essere stato respinto.
Alla giovane donna venivano concessi quattro giorni per riflettere.
Era disdicevole occuparsi subito degli animali, ma se li avesse ignorati per più di due giorni, sarebbe stata considerata orgogliosa e sciocca.
Se i cavalli restavano al palo, trascurati, alla fine del quarto giorno al pretendente non restava altro da fare che riprenderseli.
Se, invece, era stato accettato, si sarebbe svolta la festa di matrimonio che durava tre giorni.
Durante i tre giorni la giovane coppia non poteva comunicare, ma alla terza notte i due sparivano all'improvviso, evitando la sorveglianza degli anziani e si recavano in un wickiup, preparato dallo sposo, in un luogo ben nascosto nei boschi, non distante dall'accampamento.
Dopo una settimana o più, ritornavano dai genitori.
E così veniva eretto il loro wickiup vicino a quello della madre della ragazza, ma con l'ingresso rivolto nella direzione opposta.
Il genero non poteva guardare la suocera né parlare con lei.
Un uomo poteva anche avere più mogli.
La scelta doveva però limitarsi alle sorelle o alle cugine della prima moglie.
Se l'uomo rimaneva vedovo doveva rispettare il lutto per un anno, poi si poteva risposare.
Una volta coniugato, l'uomo lasciava per sempre la famiglia d'origine che non aveva più alcun diritto su di lui.
Gli unici obblighi erano per la famiglia della suocera.
Doveva mantenere e proteggere i familiari, acquisiti, portar loro quanto aveva cacciato e vendicarli di eventuali torti subiti.
La selvaggina doveva essere consegnata alla madre della sposa che la preparava e la cucinava con altro cibo e quindi la figlia ne prendeva una parte per mangiarla con il marito e i figli.
Le separazioni non erano frequenti.
Lo scioglimento del matrimonio doveva essere concordato con la famiglia della sposa.
Fuggire significava diventare un fuorilegge e, di conseguenza, attirarsi le ire dei parenti acquisiti.
Dopo la famiglia, veniva, per importanza, il gruppo, costituito da diversi nuclei familiari.
Il gruppo era riconosciuto con il nome del luogo dove veniva posto l'accampamento.
Poteva essere una regione ricca di boschi e di acqua, oppure una zona che poteva offrire insoliti vantaggi per immagazzinare le provviste, o perché consentiva una facile difesa.
Il gruppo, abbastanza piccolo da poter essere immediatamente mobilitato, rapido negli spostamenti, costituiva una forza essenziale per il successo delle scorrerie e delle battaglie.
Ogni famiglia, all'interno del gruppo, era economicamente indipendente e avvantaggiata dalla vicinanza reciproca.
Quando arrivava il momento di raccogliere i pinoli e il mescal, le donne di sei famiglie trovavano conveniente lavorare insieme.