Cultura dei nativi americani
martedì, 10 settembre '24
Un'intervista in esilio
Pubblicata mercoledì, 17 novembre '04
Dopo la vittoria dei Lakota e dei Cheyenne a Little Bighorn, umiliante per l’esercito americano, e dopo che il colonnello Miles gli ebbe dato la caccia per un anno intero su e giù per i Grandi Piani, nel 1877 Sitting Bull fuggì in Canada con i suoi seguaci. Il Canada concesse all’eminente fuggiasco solo il diritto di restare ma non il riconoscimento di “indiano canadese”. Insieme a una delegazione del governo di Washington, che avrebbe dovuto indurlo a ritornare nella riserva, giunsero alcuni giornalisti americani, che volevano sentire dalle sue labbra chi veramente fosse Sitting Bull, perché fino ad allora erano circolate sul suo conto solo dicerie e speculazioni.
Le trattative ufficiali non ebbero successo. Sitting Bull non volle tornare negli Stati Uniti.
L’intervista di Jerome Stillson per il New York Herald avvenne in presenza di un ufficiale canadese, due interpreti e uno stenografo. Eccone un breve estratto.
“Tu sei un grande capo” dissi a Sitting Bull “ma vivi dietro una nuvola. Il tuo viso è scuro, il mio popolo non può riconoscerlo. Dimmi, è così grande il tuo odio per gli americani?”
Un bagliore attraversò il suo viso.
“Io non sono un capo”
[…]
“Che cosa sei, allora?”
“Io sono un uomo”
[…]
“Dici che non sei un capo?”
“No!”
“Sei un capo di guerrieri?”
“Io non sono niente, né un capo né un guerriero”
“Che cosa? Niente?”
“Niente!”
“Ma come mai i guerrieri del tuo accampamento e tutti i grandi capi che sono qui con te ti stimano tanto? Come mai hanno un’opinione così alta di te?”
“Oh, una volta ero una specie di capo ma gli americani mi hanno cacciato dai territori di caccia di mio padre”
[..]
“Oggi ho visto che tutti i guerrieri ti hanno battuto le mani e ti hanno acclamato quando hai parlato. Il tuo discorso è sembrato piacerli. Ti apprezzano. Se non sei un grande capo, perché allora questi uomini ti tengono in così gran conto?”
A questa frase Sitting Bull, che fino ad allora si era appoggiato alla parete, assunse un atteggiamento che esprimeva insieme tolleranza e disprezzo.
“Il tuo popolo ammira gli uomini se sono ricchi, se hanno molta terra, molte capanne e molte squaw?”
“sì”
“Bene, io credo che il mio popolo mi ammiri perché sono povero. Questa è la differenza”
[…]
“Quali sono oggi i tuoi sentimenti verso gli americani?”
Questa domanda non la ritenne nemmeno degna di una risposta. Invece si portò la mano sinistra al fianco, dove portava il coltello.
Chiesi all’interprete di insistere per avere una risposta.
“Ascolta” disse Sitting Bull, senza ritirare la sinistra, ma mettendomi la mano destra sul ginocchio “Oggi ho detto chiaramente ciò che voglio: non tornerò laggiù. Ogni volta che ho avuto difficoltà con i bianchi, essi hanno colpito per primi. Io voglio vivere in pace”
“È inestinguibile l’inimicizia tra te e gli americani? Potresti vivere in pace con loro, se te lo permettessero o pensi di vivere in pace solo qui?”
“La Madre Bianca (Canada) è buona”
“Migliore del Grande Padre (USA)?”
“Sì”
[….]
“Credi che qui potreste vivere di caccia? Ci sono abbastanza bufali? Può vivere della selvaggina il tuo popolo?”
“Non lo so, lo spero”
“Altrimenti, una parte della tua gente non potrebbe vivere di agricoltura? Non potrebbero allevare bovini e diventare farmers?”
“Non lo so”
“Che vogliono fare altrimenti?”
“Finché ci sono i bufali, vivremo alla nostra maniera”
“Ma verrà il momento in cui non ci saranno più bufali!”
“Queste sono le parole di un americano”
“Per quanto tempo pensi che ci saranno ancora bufali?”
Sitting Bull si alzò “Noi sappiamo” stese la destra in un gesto di grande effetto “che dall’altro lato (del confine) non ci saranno ancora bufali per molto. Perché? Perché il terreno là è avvelenato dal sangue: un veleno che uccide o caccia tutti i bufali. È già strano che gli americani si lamentino perché gli Indiani uccidono i bufali. Noi uccidiamo i bufali, come gli altri animali, perché abbiamo bisogno di cibo e vestiti e perché le nostre tende siano calde. Anche i bianchi uccidono i bufali: ma perché? Percorri il tuo paese! Guarda le migliaia di cadaveri che imputridiscono sulle pianure. I vostri giovani uccidono per divertimento. Tutto ciò che prendono da un bufalo morto sono la coda o la testa o le corna, forse per provare che hanno ucciso un bufalo. Che cos’è questo? Non è rapina? Voi ci chiamate selvaggi. E che cosa siete voi? I bufali sono venuti nel nord. Noi siamo venuti nel nord per trovarli e per abbandonare un luogo in cui gli uomini mentono”
[…]
“Sono nato nel Missouri, almeno, mi ricordo che qualcuno mi ha detto questo, non so più chi era o dove era”
“A che tribù appartieni?”
“Sono un Hunkpapa”
“Un Sioux?”
“Sì, del grande popolo dei Sioux”
“Chi era tuo padre?”
“Mio padre è morto”
“È ancora viva tua madre?”
“Mia madre vive con me nella mia capanna”
“Su di te vengono diffuse grandi bugie. Gli uomini bianchi dicono che tu saresti vissuto fra loro quando eri giovane; saresti andato alla loro scuola; avresti imparato a scrivere e a leggere libri; parleresti inglese e sapresti anche come si parla francese”
“È una bugia”
“Sei un indiano?”
(Orgoglioso) “Io sono un Sioux!”
[…]
“Io sono un uomo. Io vedo. Io so. Cominciai a vedere quando ancora non ero nato, quando ancora non stavo nelle braccia di mia madre ma ero ancora nel suo ventre. Lì cominciai a imparare la storia del mio popolo”
[…]
“Io ero” ripeté Sitting Bull “ancora nel ventre di mia madre quando cominciai ad apprendere tutto sul mio popolo. Il Grande Spirito (e disegnò con la mano un ampio arco per descrivere una grande potenza protettrice) mi diede la capacità di vedere dal ventre di mia madre. Io appresi molte cose, là, nel corpo di mia madre. Seppi del vaiolo che uccideva il mio popolo, la grande epidemia che uccideva le donne e i bambini. Il mio interesse era così grande che mi girai dall’altro lato. Il Grande Spirito deve avermi detto già allora (e qui Sitting Bull tradì involontariamente il suo segreto) che io sarei stato l’uomo che avrebbe giudicato gli altri indiani: un uomo grande che decide per loro in tutte le cose”
“E tu da allora hai deciso per loro?”
“Io parlo. Questo basta”.
tratto da: New York Herald – 16 Novembre 1877