Pubblicata domenica, 5 febbraio '06
Britton Davis, il quale con il suo collega Gatewood comandava gli scout della riserva, scrisse nel 1884:
«Ovunque bambini apache nudi, sporchi, affamati, spaventati, che alla vostra vista scappano a nascondersi in un burrone o sotto un wickiup.
Ovunque, i visi arcigni, cupi, disperati e malfidenti degli adulti. Potete sentire la sfida fino al midollo delle ossa, questa sfida muta che vi conferma che non siete altro che un bugiardo o un ladro in più, così poco diverso dalla processione di bugiardi e di ladri che vi ha preceduti.
Si è detto parecchio del tradimento dell'Indiano. In materia di tradimento, di giuramenti rotti dalle personalità più alte, di menzogne, di furti, di massacri di donne e bambini indifesi, di tutti i crimini scritti sul catalogo della disumanità dell'uomo verso l'uomo, l'indiano non era che un semplice dilettante a confronto del "nobile uomo bianco".
I suoi crimini erano al dettaglio, i nostri all'ingrosso. Noi abbiamo appreso i suoi metodi in questo campo, ma la nostra intelligenza superiore li ha perfezionati.
«Vivendo in mezzo a questa gente senza altra compagnia che gli stessi Indiani, i miei sentimenti al loro riguardo cominciano a cambiare.
Questa impressione non ben definita che fossero qualcosa di appena superiore agli animali senza essere completamente umani, qualcosa da sorvegliare sempre con sospetto e da uccidere senza rimorsi come un coyote; questo sentimento di impossibilità di comunicare da uomo a uomo: tutto questo scompare» .
A questa confessione, a questo mea culpa di una toccante e onesta sincerità, risponde il discorso chiaro e vigoroso di Crook per la scelta di una politica rispettosa verso l'Indiano, tenuto conto della sua personalità e della sua condizione attuale:
«L'Indiano è un essere umano. La questione da risolvere ora per l'onore degli Stati Uniti è questa: come difenderlo? Ecco la mia risposta:
primo, allontanarlo dalla politica;
secondo, le leggi degli Indiani devono essere identiche a quelle dei bianchi;
terzo, dargli il diritto di voto.
Ma non dobbiamo andare troppo in fretta con questi cambiamenti. Non dobbiamo costringere l'Indiano ad adottare subito la civiltà nelle sue forme complete, egli ha bisogno di leggi giuste che gli garantiscano uguali diritti civili.
Se questo si realizzasse, la questione indiana, che è fonte di disonore per il nostro paese e di vergogna per i veri patrioti, apparterrà presto al passato».
Queste opinioni, veramente rivoluzionarie nel contesto degli anni Ottanta, si incontrarono, molto più tardi, con quelle dei riformatori che operavano nello stesso senso. A quei tempi la loro ambizione, per encomiabile che fosse, rientrava nell'utopia.
A San Carlos, più che in ogni altro posto nelle riserve, nessuno era pronto per un tale balzo in avanti, poiché la guerra era appena finita e poteva all'improvviso ricominciare.
Come era già avvenuto, gli Apache, testimoni e vittime della disputa che divideva i loro «tutori», non seppero più di chi fidarsi.
E la fiducia dell'Indiano verso l'uomo bianco era allora, in quel mondo, la cosa che si poteva meno dividere.