Pubblicata domenica, 9 settembre '07
Per molti Indiani la guerra era uno sport eccitante ma pericoloso.
In un certo modo assomigliava ad un torneo medioevale, governato da strette regole di condotta.
Il campo di battaglia diveniva un'arena per una veemente competizione personale d'onore nella quale un giovane poteva farsi un nome e guadagnare le piume d'aquila che stavano a significare che era diventato adulto.
In questo gioco si poteva essere uccisi, ma uccidere nemici non era il motivo per il quale gli uomini andavano in guerra.
La guerra totale che si risolveva con l'estinzione di una tribù era quasi sconosciuta e generalmente aborrita.
Le spedizioni di guerra erano decise tanto per motivi personali quanto politici; qualche giovane poteva essere attratto da un abile capo il cui amuleto fosse considerato buono.
Ma un uomo che avesse rifiutato di seguirlo perché aveva avuto un sogno scoraggiante od un altro segno di cattivo presagio, non era per questo macchiato d'infamia.
I capi non avevano nessun intrinseco potere di ordinare o di forzare all'obbedienza, ma soltanto la forza del loro prestigio o carisma.
In battaglia, ogni uomo si comportava più o meno come il suo personale codice di guerriero gli dettava.
Le vite non erano sprecate per piccoli guadagni, se possibile, giacché ogni vita era preziosa per gente che viveva in piccole bande di cacciatori e di un solo uomo ucciso se ne sarebbe sentita dolorosamente la mancanza.
Un capo perdeva in reputazione se perdeva un uomo, anche se la sua scorreria aveva avuto successo sotto altri aspetti.
La condotta di guerra era un affare cerimoniale, pieno di magia e rituale.
Gli uomini cavalcavano in guerra con fagotti d'amuleti protettivi, ciottoli che facevano miracoli, o scudi incantati, i loro cavalli erano coperti con la sacra polvere di legno giallo o dipinti con disegni di saette: il tutto allo scopo di rendere chi li portava invulnerabile alle frecce o alle pallottole, e per dare al suo cavallo velocità sovrannaturale.
Il principale scopo di qualsiasi battaglia — ed il solo modo di acquisire onori — era di « contare il colpo », riconoscere le azioni coraggiose di ciascuno.
Uccidere un uomo in una imboscata con un fucile non era un colpo perché era facile, anche un codardo poteva farlo.
Ma cavalcare dritto su un nemico non ferito e completamente armato e toccarlo con la mano o con un bastone da colpo, era una grande impresa.
Anche rubare cavalli proprio sotto il naso del nemico era un buon colpo.
I colpi dovevano essere testimoniati per essere riconosciuti, benché in alcune tribù un uomo potesse giurare sulla pipa o su altri oggetti sacri che quello che diceva era vero.
Le piume d'aquila di un guerriero erano intaccate, spezzate, o punteggiate con il colore per indicare quali generi di colpi aveva contato, quanti nemici aveva trucidato, o quante volte ed in qual modo era stato ferito.
Dei colpi ci si vantava orgogliosamente intorno ai fuochi degli accampamenti, le loro storie ed i dettagli detti e ridetti.
In alcune tribù un giovane non poteva aspirare a sposarsi se non avesse contato un colpo.
Tre di queste leggende descrivono il coraggio di donne, inclusa la grande Donna-Strada-Piccolo-Buffalo, eroina della battaglia del Rosebud, che fu combattuta proprio prima di Little Bighorn nel 1876, nel Montana.
Molti giovani appartenevano ad una delle numerose società di guerrieri della loro tribù, ciascuna con la propria leggenda di origine, il suo modo di abbigliarsi, il suo speciale armamentario, i suoi canti e le sue cerimonie.
Uno ne diveniva membro su invito o perché un guerriero più vecchio, sovente un parente, si faceva garante per lui.
In alcune tribù uno poteva « comprare per entrare in » una società con un dono di cavalli od altri oggetti di valore, ma di solito i capi erano interessati soltanto a giovani coraggiosi che avrebbero fatto onore al gruppo come un tutto.
In alcune società come la Sioux Kit Foxes (Tokala) o la Cheyenne Soldati Cane, c'erano uomini « sfidanti-a-morte » i quali, durante una battaglia, fissavano le loro sciarpe al terreno come segno che avrebbero combattuto sul posto sino a vincere od a morire.
Un prigioniero ferito, se si era dimostrato particolarmente coraggioso, poteva essere risparmiato ed adottato dalla tribù dei suoi catturatori.
Il popolo Lakota/Dakota offrì dagli anni 1850 sino agli anni 1890 la più lunga eroica resistenza alle incursioni degli eserciti dei bianchi, e nessun'altra tribù ha registrato così accuratamente le eroiche azioni dei guerrieri: sulle tende, sugli scudi di guerra, sugli ornamenti e, naturalmente, nei testi delle leggende che oggi sono narrate.
Quando le popolazioni sono ridotte a vivere nelle riserve, le antiche gesta di valore sono ancora più cruciali per la conservazione di un'identità positiva.
Nell'Est, il processo di raccogliere leggende fu così inquinato dai pregiudizi di chi le registrava che molte importanti storie di guerra e di altro genere sono andate perdute, con l'eccezione di alcune leggende irochesi.
La gente del deserto del Sudovest per tradizione è stata troppo pacifica per dare origine ad un grande corpo di miti di guerra, benche esistano tuttora alcune leggende delle scorrerie degli Apache e dei Navaho.