Cultura dei nativi americani
martedì, 10 settembre '24
Henry David Thoreau: scrittore, naturalista, antropologo
Pubblicata giovedì, 22 aprile '10
Che cosa ricerca Thoreau nella natura? Ogni singolo fenomeno naturale e ogni essere vivente sono importanti tasselli di quel grandioso libro della vita e dei processi biologici che egli cerca di leggere e di interpretare, per poterli infine scrivere e cantare. Solo il poeta è in grado di farlo. Nella natura non c’è posto per l’uomo civilizzato, poiché allontanandosi si è irrimediabilmente guastato, rapportandosi ad essa con cinismo e distruttività. L’uomo in natura esiste e indica nell’indiano il modello archetipo, in quanto rappresenta la perfetta simbiosi, colui che in essa si inserisce in modo sano ed armonico. La grandezza del poeta di Concord sta anche in questo, nell’aver guardato agli indigeni del nuovo mondo con spirito d’umanità e con una visione moderna, da antropologo, averne studiato la cultura, le tradizioni, il linguaggio e il loro singolare rapporto con la natura; nell’aver denunciato nel contempo l’insensibilità e la miopia degli stessi intellettuali dell’epoca, che quasi senza distinzione consideravano gli indiani esseri inferiori e la crudeltà con la quale i bianchi trattavano le popolazioni autoctone:
“E’ lo spirito d’umanità, quello che anima i cosiddetti selvaggi non meno dei popoli civili, che opera attraverso l’uomo, a interessarci di più, non l’individuo che esprime se stesso. Il pensiero di una tribù detta selvaggia è sovente più giusto di quello di un unico uomo civile.
…La brutalità del selvaggio non è che un pallido fantasma della spaventosa ferocia che spinge gli uomini civili l’uno contro l’altro.”
Taluni hanno parlato degli indiani con sufficienza, come di una razza che possiede ben poca intelligenza o abilità, così bassa nella scala dell’umanità e così selvaggia da meritare a malapena di essere rammentata – ed hanno usato i termini “miserabile”, “penosa”, “disgraziata” ed altri consimili per designarla. Nello scrivere la “loro” storia di questo paese si sono rapidamente sbarazzati di questo rifiuto umano (come avrebbero potuto definirlo) che aveva imbrattato e profanato le sponde e l’interno del nostro continente. Ma se perfino gli animali indigeni son per noi fonte d’inesauribile interesse, quanto più interessanti dovrebbero essere gli uomini indigeni d’America! Se degli uomini selvaggi, assai più simili a noi di quanto non siano dissimili, hanno abitato prima di noi queste lande, noi vogliamo sapere con ogni dettaglio di che specie di uomini si trattava, e come vivessero in questi luoghi, e quale fossero i loro rapporti con la natura, la loro arte, i loro costumi, le loro leggende e le loro superstizioni. Essi remavano su queste acque, vagavano per questi boschi, ed avevano leggende e credenze legate al mare e alla foresta, storie che ci dovrebbero interessare almeno quanto le favole dei popoli orientali. Avviene di frequente che lo storico, pur professando una maggiore umanità del cacciatore, del montanaro, del cercatore d’oro che sparano alle creature come se fossero bestie feroci, in verità dimostri una simile mancanza di umanità, solo usando la penna anziché il fucile.
Riguardo al tragico destino dei nativi d’America, Thoreau si pone dunque come una voce fuori dal coro, in un periodo in cui la conquista dell’Ovest conosceva il suo volto più feroce, quello della sistematica persecuzione dei legittimi abitanti, considerati alla stessa stregua di animali nocivi e dunque brutalmente annientati.
L’interesse di Thoreau per gli indiani d’America è di una tale profondità e ampiezza di orizzonti da costituire un documento di eccezionale valore antropologico, nel senso più moderno del termine: gli appunti sulla storia e sulla cultura indiane raggiungono duemila e ottocento pagine a formare i dodici quaderni degli Indian Notebooks, solo in minima parte tradotti. Emerge da questa miriade di appunti e riflessioni sugli indiani, la volontà dello scrittore di scrivere un’opera di ampio respiro e di carattere antropologico di cui ci ha lasciato il titolo, My Own Ante-Columbian History e un possibile primo capitolo, First Aspect of Land and People, che denotano chiaramente il suo profondo interesse per i nativi d’America che negli anni aveva acquisito una valenza scientifica.
L’oggetto di interesse antropologico è l’indiano, simbolo della vita selvaggia, capace di sopravvivere grazie alla sua straordinaria capacità di adattamento all’ambiente, all’abilità fisica e ad una maggiore saggezza e conoscenza della natura. L’indiano al contrario dell’uomo bianco, mostra rispetto della natura: i simboli, i miti e le leggende di cui è intrisa la sua cultura ne sono una prova significativa e suggestiva. Thoreau ammira dell’indiano la sua capacità di resistenza, di camminare silenziosamente su qualsiasi terreno, di sapersi orientare perfettamente nei luoghi più selvaggi; ammira la sua abilità nel leggere le tracce degli animali selvatici, di essere in grado di costruirsi una canoa, una tenda o dei mocassini con la corteccia di betulla, di procacciarsi il cibo, pescando, cacciando o raccogliendo bacche. Ammirazione che ravvisiamo dalla sistematica, rigorosa passione che Thoreau impiega per documentarsi e per osservare direttamente e descrivere la vita dei nativi americani. Thoreau è sul piroscafo sul lago Moosehead, nel suo secondo viaggio nel Maine e non manca di cogliere degli indiani i loro migliori sensi:
“L’indiano Saint Francis doveva prendere a bordo qui suo figlio, ma all’approdo non c’era. Gli occhi acuti del padre avvistarono di lontano, a sud della montagna, una canoa con il ragazzo, che nessun altro fu in grado di distinguere. – Dov’è la canoa? Chiese il capitano. – Non la vedo -, ma ugualmente attese, e di lì a poco la canoa comparve.”
Ancora in Chesuncook, Thoreau ci descrive la vita in un accampamento di cacciatori indiani, il modo di affumicare la carne di alce sopra una specie di trespolo, le pelli dello stesso animale tese ad asciugare su dei pali, il sistema di costruzione delle tende:
” Era difficile immaginare, nel suo insieme, uno spettacolo più selvaggio, e mi sentii improvvisamente trasportato indietro di trecento anni. C’erano anche molte tracce di corteccia di betulla pronte per l’uso, sagomate come piccoli corni diritti, appoggiate sopra un ceppo fuori dalla tenda.”
E, seguendo attentamente le conversazioni nella loro lingua e ponendo loro molte domande sui significati dei nomi dei luoghi visitati, Thoreau antropologo osserva:
” Non c’è prova più evidente del fatto che siano una razza distinta e autoctona, del loro linguaggio tipico, inalterato nel tempo, che l’uomo bianco non sa né parlare né comprendere. Possiamo supporre cambiamenti e degenerazioni in quasi ogni altro aspetto della loro vita, tranne che nel linguaggio, rimasto totalmente inintelligibile. Mi stupii nel constatarlo, sebbene avessi raccolto molte punte di freccia e mi fossi ormai convinto che gli indiani non erano un’invenzione di qualche storico o di qualche poeta. Era il suono puro, selvaggio e primitivo dell’America, esattamente come l’abbaiare di un chickare, di cui non capivo una sillaba, ma se Paugus fosse stato lì, non avrebbe capito. Questi Abenaki vociavano, ridevano, gesticolavano nella loro lingua in cui era stata scritta la Bibbia indiana di Eliot, la lingua che – quanto a lungo nessuno può dirlo – si parlava un tempo nel New England. Erano i suoni che uscivano dai wigwam di questo paese prima che Colombo venisse alla luce; non si sono ancora spenti e con pochissime eccezioni la lingua dei loro antenati è ancora ricca e diffusa. Avevo l’impressione di stare, o meglio di giacere, quella notte, accanto all’uomo primitivo americano, così com’era accaduto a tutti coloro che avevano scoperto quelle terre.
Lo scopo dei viaggi di Thoreau nel Maine era, oltre quello di penetrare la natura selvaggia, la wilderness e di vedere come il pino «vive e cresce», di conoscere e studiare i modi di vita degli indiani. Joe Aitteon, per esempio, la guida indiana assoldata nel secondo viaggio di Thoreau nel Maine, è oggetto di un attenta osservazione: «Scrutavo i suoi movimenti da vicino, ascoltavo attentamente le sue osservazioni; se avevamo assunto un indiano era soprattutto perché io avessi l’opportunità di studiarne il comportamento…». E’ da dire subito che le aspettative di Thoreau di trovare in Joe un modello di indiano da studiare sono piuttosto deluse, in quanto la guida aveva perso molte delle abitudini e delle abilità dei suoi simili. Thoreau quando gli chiede «come le centine fossero saldate ai parapetti orizzontali» (della canoa), Joe risponde di non saperlo, di non averci mai fatto caso. E della possibilità di vivere nei boschi contando sulla propria abilità di cacciatore e di procurarsi i frutti che la foresta poteva offrire, «come avevano fatto i suoi antenati», egli risponde semplicemente che «non avrebbe mai potuto fare altrettanto», poiché aveva vissuto diversamente. L’indiano però conserva dei suoi antenati selvaggi una certa abilità che Thoreau ha modo di osservare e di descrivere durante la battuta di caccia all’alce: «Risalì rapidamente l’argine e si inoltrò nei boschi, procedendo con una particolare andatura, elastica, silenziosa e furtiva, osservando il terreno a destra e a sinistra…Un’altra volta, quando udimmo un lieve scricchiolio di rami, ed egli scese a terra a perlustrare, lo vidi camminare con molta grazia e leggerezza, insinuandosi furtivamente tra i cespugli facendo il minimo rumore possibile, come nessun uomo bianco avrebbe saputo fare, scegliendo ogni volta il punto giusto dove appoggiare il piede».
Nel terzo viaggio nel Maine, il cui resoconto è The Allegash and East Branch, Thoreau conoscerà Joe Polis, la guida indiana che maggiormente rispecchierà il modello archetipo concepito dall’autore e dunque incontrerà il suo ideale di uomo, l’uomo in natura.
Thoreau sembra sorprendentemente anticipare i concetti fondanti dell’antropologia moderna fissati nel 1871 da E.B.Tylor con la pubblicazione di Primitive Culture: «La cultura o civiltà, intesa nel suo più ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società». Occorre evidenziare il fatto che Taylor è uno spirito particolarmente illuminato, rispetto a diversi studiosi dell’epoca, i quali, interessandosi alle culture umane primitive, lo facevano tradendo una visione fortemente eurocentrica.
L’antropologia moderna ha ampliato i confini attraverso un approccio metodologicamente complesso ai diversi campi di indagine, con un apporto di elementi provenienti da altre discipline, quali l’etologia, la biologia, la sociologia, ma anche la filosofia. Thoreau può essere considerato a giusto titolo un precursore dell’antropologia moderna, poiché si è accostato alla conoscenza degli indiani d’America con la giusta sensibilità, dimostrando di aver compreso l’importanza di uno studio multidisciplinare: è significativa a questo riguardo l’attenzione che egli riserva al linguaggio degli indiani Penobscot.
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