Cultura dei nativi americani
martedì, 10 settembre '24
Il culto del Peyote
Pubblicata domenica, 23 novembre '03
II peyote è il frutto secco di un piccolo cactus che cresce nelle zone sud-occidentali degli Stati Uniti e in quelle settentrionali del Messico. È un blando stupefacente che agisce sui centri ottici, provocando splendide visioni colorate. Gli indiani sostengono che tali visioni, non soltanto servono a farli giungere al cospetto di Dio e a elevare i loro costumi, ma hanno anche il potere di curare le malattie. Seppure non riconosciuta ufficialmente come religione, l'usanza di mangiare il peyote, al giorno d'oggi, costituisce una specie di ingresso di servizio al mondo del cristianesimo, ed è servita a convertire molti indiani, che altrimenti sarebbero rimasti indifferenti agli sforzi dei missionari.
Negli anni 1893 e 1894, vissi nell'Oklahoma assieme ai mangiatori di peyote.
Mangiavamo il peyote nel cuore della notte. Lo mangiavamo tutti, io compreso. Era appunto notte fonda, quando fui preso dal panico, perché mi pareva che mi fosse entrato in corpo qualcosa di vivo. "Perché l'ho fatto?" dissi tra me. "Non avrei dovuto mangiarlo, perché m'ha fatto male subito: Certo, non avrei proprio dovuto mangiarlo. Sono sicuro che mi farà male. La miglior cosa che posso fare è di vomitarlo. Coraggio, proviamo." Dopo qualche tentativo infruttuoso, rinunciai. "Bene," mi dissi, "hai voluto mangiarlo. Sei sempre andato in giro in cerca di qualcosa di nuovo, e adesso hai trovato qualcosa che t'ha fatto male. Cosa sarà? Pare che sia vivo e si muova nello stomaco. Se almeno ci fosse qui qualcuno della mia gente! Sarebbe molto meglio. In questo modo, nessuno saprà mai quel che mi è successo. Mi sono ammazzato."
Avevo appena finito di dirmelo, che quel qualcosa sembrò lí lí per uscire. Sembrava già quasi fuori, anzi, e io protesi la mano per raccoglierlo, ma invece tornò indietro. "Oh, povero me, non avrei mai dovuto fare una cosa simile. Mi guarderò bene dal farlo un'altra volta. Sto per morire, lo sento."
Intanto si fece giorno, e noi tutti ci mettemmo a ridere. Ma fino a quel momento, vi assicuro che non riuscivo proprio a ridere.
La notte dopo dovevamo mangiare di nuovo peyote. Pensai tra me: " La notte scorsa per poco non mi ha fatto male." "Coraggio, mangiamo," dissero gli altri. "D'accordo, ci sto anch'io, dovetti dire allora." Cosí mangiammo sette peyote a testa.
All'improvviso vidi un grosso serpente. Ero fuori di me dalla paura. Poi ne arrivò un altro e prese a strisciare verso di me. "Misericordia! Da dove arrivano?" Mi parve che alle mie spalle ci fosse qualcosa; mi volsi e vidi un serpente che stava per inghiottirmi tutt'intero. Aveva gambe e braccia e una lunga coda. L'estremità di questa coda pareva una lancia. "Oh, mio Dio! Stavolta, sto davvero per morire," pensai. Poi guardai in un'altra direzione e scorsi un uomo che aveva le corna e lunghi artigli, e teneva in mano una lancia. Mi balzò addosso, ma io mi gettai a terra, e quello mancò il bersaglio. Poi mi guardai alle spalle, e intanto lui era tornato all'attacco. Ma stavolta si vedeva che aveva intenzione di scagliarmi contro la lancia. Mi gettai di nuovo a terra, e lui mi mancò. Niente da fare, pareva che per me non ci fosse scampo. Poi ad un tratto, mi venne fatto di pensare: "Che sia il peyote che mi fa quest'effetto? Aiutami, o medicina, aiutami! Sei tu che mi fai vedere queste cose, e tu sei santa! Non sono queste spaventose visioni che mi mettono tanta paura. Avrei ben dovuto saperlo che c'eri tu, di mezzo. Aiutami!" Subito le mie sofferenze ebbero fine. "Ora e sempre, per tutta l'eternità, voglio far uso di te, o medicina!"
Durò un giorno e una notte, e per un'intera notte non ero riuscito a chiudere occhio.
Poi facemmo colazione. E allora, mentre eravamo intenti a mangiare, dissi: "Mangiamo ancora peyote stanotte." E quella sera, mangiai otto peyote.
A metà della notte, vidi Dio. E rivolto a Dio che vive lassú, al nostro Padre, pregai: "Abbi pietà di me! Dà a me la luce che mi porti a non dire o fare mai brutte cose. A te, o Dio, mi volgo, e t'invoco. E anche tu, o Figlio di Dio, anche tu aiutami. Fammi conoscere questa religione. Aiutami, o medicina! Padre, aiutami! Fammi conoscere questa religione!" Dissi cosí, e mi sentii tranquillo. E allora scorsi la stella del mattino, ed era bella da guardare. La luce era bella da guardare. Ero stato preda al terrore durante tutta la notte, ma adesso ero felice. Ora, all'apparire della luce, mi sembrò che niente mi sarebbe piú stato invisibile. Mi parve di vedere ogni cosa con chiarezza.
Molti anni fa ero stato ammalato, e sembrava che quella malattia dovesse stroncarmi. Provai tutti i rimedi indiani e poi provai tutte le medicine dell'uomo bianco, ma non mi furono di alcun beneficio. "Ormai è finita. Mi stupirei se l'anno venturo fossi ancora vivo." Questi erano i pensieri che mi passavano per la testa. Ma non appena mangiai il peyote guarii perfettamente.
Nero Spirito dell'Acqua, pressappoco in quel tempo, sputava sangue, e io volevo che provasse a mangiare il peyote. "Be', ma ad ogni modo non vivrò," disse quello. "Macché, inghiotti subito questa medicina, e guarirai." I malati di tubercolosi, prima d'allora non avevano nessuna speranza; ora, invece, per la prima volta, ecco che uno guariva. Nero Spirito dell'Acqua è ancora vivo, e sano come un pesce.
C'era un uomo che si chiamava Prete-che-va, e andava pazzo per il whisky, ciccava, fumava, giocava. Ed era un terribile donnaiolo. Tutto quel che era brutto, lui lo faceva. Allora io gli diedi da mangiare un po' di peyote, e lui lo mangiò, e rinunciò a tutte quelle brutte cose che faceva. Aveva sofferto di un male pericolosissimo, e aveva perfino avuto in cuore il desiderio di uccidere. Ma oggi conduce una vita onesta, e cosí intende continuare.
Chiunque abbia dei brutti pensieri, se mangerà il peyote perderà tutte le sue cattive abitudini. È un rimedio per tutti i mali.