Cultura dei nativi americani
venerdì, 22 settembre '23
La pista della vendetta
Pubblicata sabato, 27 dicembre '03
Dopo l'effimera conquista spagnola del XVII secolo, il paese dei Pueblos rimase quasi del tutto abbandonato a se stesso fino al 1846, quando il colonnello Kearny, partito da Fort Leavenworth, alla testa dell'"Armata dell'Ovest", percorse più di 3500 chilometri , occupò il Nuovo Messico per conto degli Stati Uniti, mettendo in fuga 5000 messicani. A capo del governo provvisorio insediato a Santa Fe egli pose Charles Bent, il famoso trapper cognato di Kit Carson, un uomo coraggioso e capace che, nel 1829, aveva costruito l'omonimo forte sull'Arkansas - il più saldo di tutto il West - dove centinaia di emigranti avevano trovato rifugio durante i loro viaggi avventurosi.
I Pueblos, che erano popoli pacifici, fecero una buona accoglienza agli americani, tranne che a Taos, la meglio difesa tra le loro città fortificate, dove alcuni messicani rimasti sul posto, sognando di riacquistare il potere, organizzarono una cospirazione e spinsero gli indiani a scacciare i nuovi venuti, convincendoli che essi li avrebbero resi schiavi. Il giorno di Natale del 1846 i congiurati avrebbero dovuto impossessarsi dei cannoni e colpire gli americani ovunque si trovassero, come avevano fatto i loro antenati nel 1680 contro gli spagnoli. Tre giorni prima della data fatidica il complotto venne scoperto e la maggior parte dei capi fu arrestata, mentre alcuni fuggirono in Messico, ma il seme di violenza che avevano gettato diede comunque i suoi frutti qualche settimana più tardi.
Il 19 gennaio 1847 un gruppo di Pueblos guidati dal capo Tomasito si recò a San Fernando, una città dei bianchi luogo d'incontro abituale dei trapper, non distante dal villaggio indiano di Taos, e chiesero che fossero liberati tre pellerossa imprigionati per furto, ma il "prefetto" rifiutò, usando un linguaggio oltraggioso. Allora, accecati dall'ira, i Pueblos si scagliarono contro di lui e lo fecero a pezzi, poi liberarono i prigionieri e, seguiti da una massa crescente di sostenitori, dilagarono per la città, diedero la caccia ai notabili, li uccisero e li scotennarono selvaggiamente.
In quel momento il governatore Bent era nella sua residenza. Quando gli insorti abbatterono la porta, sua moglie gli porse le pistole, ma egli rifiutò di difendersi, sacrificando la propria vita perché fossero salve quelle della moglie e dei figli. Venne crivellato di frecce e scotennato, e il suo corpo fu trascinato per le vie, ma la sua famiglia fu risparmiata.
Poi la rivolta si estese alle bande vicine e divenne generale. I pellerossa attaccarono i mercanti e i trapper e si impadronirono degli insediamenti i cui abitanti furono sterminati.
Per due giorni il mugnaio Turley e i suoi uomini sostennero l'assedio in piena regola di 500 indiani, infliggendo loro pesanti perdite. 6 guerrieri si fecero uccidere, l'uno dopo l'altro, nel tentativo di recuperare il corpo di un capo, che era stato abbattuto davanti alla palizzata. La seconda notte i difensori, che avevano avuto soltanto 2 caduti, ma che stavano esaurendo le munizioni, tentarono una fuga disperata: 3 riuscirono a oltrepassare le linee degli attaccanti, gli altri furono uccisi.
Intanto, indignati, gli americani radunarono truppe a Santa Fe, da dove partirono 350 fanti, al comando del colonnello Price, con 4 obici e 65 cavalieri. Questi ultimi, che avevano assunto il nome di Vendicatori, erano vecchi trapper e agguerriti coureurs vestiti di pelli di daino, ed erano agli ordini di un altro celebre trapper, il temibile Felix Ceran Saint-Vrain, ex socio di Bent.
Il 24 gennaio 1847 Price si accorse che gli insorti - 800 indiani e messicani-, attestati alle pendici del canyon che riparava la piccola città di La Canada, gli sbarravano la via e diede ordine di preparare gli obici. Il convoglio delle salmerie era ancora a più di 15 chilometri e il nemico cercò di impadronirsene distaccando un numeroso contingente, che però Saint-Vrain intercettò e sconfisse.
Per un'ora e mezza, la batteria fu esposta a un fuoco serrato di fucileria, proveniente soprattutto da due case distanti circa 200 metri. Una volta giunto il convoglio, Price si lanciò alla carica e si impossessò delle case, costringendo i nemici a ritirarsi sulle alture vicine. Essi lasciarono al suolo 36 caduti e 50 feriti; gli americani 2 morti e 8 feriti.
Per qualche giorno l'armata si installò in città, ricevendo in rinforzo due compagnie - con cui gli effettivi raggiunsero le 480 unità - e un cannone, poi riprese la marcia. Il 29 Price venne a sapere di un'imboscata al canyon che portava a Embudo. Indiani e messicani erano appostati sui due lati della stretta gola, in mezzo agli alberi e le rocce. Se ne occuparono 180 soldati e i Vendicatori: avanzarono a piedi, in ordine sparso, facendo fuoco velocemente e i nemici furono ben presto costretti a fuggire nel canyon, abbandonando 20 morti e 60 feriti.
Dopo una marcia forzata nella neve alta e con un freddo intenso e dopo aver valicato le montagne a prezzo di mille difficoltà, il 3 febbraio 1847, l'armata di Price giunse in vista di Taos, dov'erano trincerati gli indiani, che, nel frattempo, erano stati abbandonati dai messicani. Il villaggio era circondato da un robusto muro rettangolare di adobe e pali, largo 230 metri e lungo 200. Due angoli erano occupati da grandi abitazioni a forma di piramide, ciascuna di sette o otto piani, prive di porte, che potevano offrire riparo a 800 persone ciascuna. In un altro angolo si ergeva una grande chiesa, opera dei "padri", anch'essa costruita saldamente in adobe. Uno stretto passaggio divideva le costruzioni dalla cinta d'argilla, nella quale si aprivano numerose feritoie. L'unico accesso al villaggio era costituito da scale di legno, che venivano ritirate in caso di pericolo.
Dinanzi a questa fortezza, che aveva resistito per secoli ai Comanche, il piccolo esercito si arrestò. Dietro le strette feritoie, dalle quali puntavano le loro frecce, i prodi sfidavano gli assalitori. Per due ore Price fece sparare gli obici, ma le palle si conficcavano nella massa argillosa senza grandi risultati, e quindi gli americani si ritirarono a San Fernando, inseguiti da grida di scherno.
L'indomani la truppa riprese posizione. Dopo un nuovo bombardamento inefficace, arrivò l'assalto, condotto su due lati sotto il tiro di copertura dell'artiglieria. Uno dei due gruppi riuscì a superare il muro, servendosi di scale, e concentrò i suoi sforzi contro la chiesa. Alcuni soldati ne incendiarono il tetto e, dalle brecce, lanciarono granate all'interno; altri ne attaccarono le pareti con asce, e tentarono di sfondare la porta del santuario, che si era ormai trasformato in un inferno. Poi, minacciati dalle violente scariche di fucileria che venivano dalla chiesa e dagli edifici confinanti, gli assalitori furono costretti a ritirarsi.
Gli americani avevano ripiegato, ma tornarono nel pomeriggio. Questa volta trasportarono il cannone a 50 metri dalla fortezza. Al decimo colpo, nel muro di cinta si aprì una breccia; il pezzo fu allora avvicinato a 30 metri, e sparò ancora 3 volte.
Tra i Pueblos viveva un Delaware, soprannominato Big Negro, che aveva sposato un'indiana di Taos e odiava i bianchi. Usando i suoi rifle e una pistola, che sua moglie ricaricava, falciò i primi quattro americani che si mostrarono dalla breccia. Ma ne comparvero altri, forzarono il passaggio e si riversarono attraverso l'apertura in mezzo a un fumo denso.
La chiesa era vuota. Dietro l'altare, da solo, Big Negro si batté come un leone, sino all'ultimo respiro. In seguito, si scoprì che il suo corpo era stato colpito da trenta pallottole. Morì come un vero Delaware.
I combattenti Pueblos avevano abbandonato il villaggio e fuggivano verso i monti, sulla neve. I Vendicatori si lanciarono all'inseguimento e li accerchiarono: sparando, colpendo, uccidendo... La battaglia si trasformò in una serie di scontri corpo a corpo. Saint-Vrain smontò da cavallo e si avvicinò a un indiano che si fingeva morto, ma il guerriero balzò in piedi, lo afferrò e tentò di ferirlo con una freccia che stringeva in pugno. Fu un duello brutale, al quale pose fine un altro trapper con un colpo di tomahawk.
Scesa la notte, i soldati occuparono il villaggio deserto i cui capi sarebbero giunti, il mattino dopo, a fare atto di sottomissione. Erano caduti 150 dei 650 difensori, mentre, tra gli americani, si contavano 15 morti e 47 feriti, la maggior parte dei quali sarebbe spirata in seguito. Dopo un processo 15 indiani furono impiccati; Tomasito, catturato, fu ucciso da un trapper che pensava che la giustizia fosse troppo lenta. Le città di adobe ritrovarono per sempre la tranquillità.