Pubblicata lunedì, 5 gennaio '04
Fratelli miei, in questa terra bisogna che mai gli indiani siano dimenticati. Parole della nostra lingua sono servite a nominare moltissime cose belle che per sempre parleranno di noi. Il Minnehaha riderà di noi, il Seneca rimanderà la nostra immagine, il Mississippi riecheggerà le nostre voci. L'ampio Yowa, e il rapido Dakota, e il fertile Michigan sussurreranno i nostri nomi al sole che li bacia. Il fragoroso Niagara, l'illinois mormorante e il canoro Delaware ripeteranno senza posa il nostro Dta-wa-e [Canto funebre]. E potrete, voi e i vostri figli, udire quell'eterna canzone senza che il cuore vi si stringa? Una sola colpa avevamo: di possedere una terra sulla quale l'uomo bianco aveva posto gli occhi. Siamo andati via, in direzione del sole calante; abbiamo abbandonato le nostre case all'uomo bianco.
Fratelli miei, una delle leggende del mio popolo narra di un capo, e come costui alla testa dei resti della sua gente, passò un grande fiume e, piantando il palo della tenda sull'altra riva sospirasse " A-la-ba-ma," che nella nostra lingua significa: "Qui possiamo restare." Ma quel capo non seppe prevedere il futuro. Venne l'uomo bianco, ed il capo e il suo popolo non poterono più rimanere là; furono cacciati via, e nella palude affondarono nel fango e morirono. La parola che egli aveva pronunciata con cosí triste accento divenne il nome di uno Stato dell'uomo bianco. Ma non c'è piú luogo alcuno sotto le stelle che di lassú sorridono, dove l'indiano possa piantare la tenda e sospirare: " A-la-ba-ma! "